Credo che le religioni, tutte le religioni del mondo, se ridotte al loro minimo comun denominatore, rivelino di base la presenza costante, frequente e salvifica dei riti.
Quell’insieme di attività da condursi certe volte da soli e certe altre nella collettività che seguono regole ben stabilite, modalità concordate e che arrivano a concludersi con un “noi”.
La fortuna delle religioni è la loro ereditarietà e non c’è niente, fateci caso, di più ereditario dei riti. Un insieme di riti che si cristallizza e percorre nella verticalità delle generazioni la grande storia del mondo.
Trovarsi al tal giorno, nel tal orario, a pregare tutti insieme. Ci potrà essere qualcosa di più meraviglioso? Ci sarà qualcosa di più utile? L’utilità è presto detta: togliere completamente ogni traccia di provvisorietà, di indefinitezza, di ambiguità. Riconoscersi negli altri in un grande “noi” collettivo, saper di non poter sbagliare praticamente mai.
Eppure ci sono delle testoline, va a capire, che cortocircuitano il meccanismo. Delle anime sbrandellate che non si sentono facenti parte e finiscono addirittura, osservando come grotteschi i riti sacri, con il mettere in discussione l’opportunità stessa del rito.
Il rito è tutto, come spiega la Volpe al Piccolo Principe. Bisogna prepararsi il cuore e tutto quanto.
Allora niente, non voglio sostenere niente, ma forse sarebbe bene prendere anche una cosa piccolina e renderla rito. Introdurla nelle nostre vite laiche che non hanno ragion d’essere e seguirla come un rito e viverla in maniera spirituale, se mi capite.
State attenti a non sbagliarvi, né a lasciarvi trarre in inganno: quelli che i romantici chiamano riti, dai moderni sono chiamate abitudini. Si potrebbe dire in effetti che oggettivamente non ci sia differenza, che visti in un modo o nell’altro non cambi niente. Ma questo solo se è niente che voi vi considerate.
Rendete sacro il caffè della tal ora, o anche gli ultimi dieci minuti di tele prima di andare a letto. Il filo interdentale dei giorni dispari, se siete pigri, o la visita alla nonna di una volta ogni mese e mezzo.
Rendete sacro un giorno a vostra scelta della settimana, o il lavare le lenzuola. Il prendere ogni anno l’ombrellone al bagno X o l’edicolante che sta vicino alla posta. Rendete sacro il risotto con le cozze o la pizza zucchine e mentuccia.
E se mi dite ancora una volta che sono abitudinario, io vi dico grazie. Dovreste vedere che facce buffe che avete.
buoni da mangiare, buoni da seccare,
da farci il sugo quando viene Natale,
quando i bambini piangono
e a dormire non ci vogliono andare.
Bongio ha detto:
Sono d’accordo parzialmente. Nel senso che mi sta bene l’obiezione che se non ti imponi qualcosa come rito poi è difficile farti venire la voglia e finisci per non farla più. C’è però che le sorprese, piccole o grandi, sono quelle che ci fanno andare avanti, ci fanno sentire un po’ più umani. Sennò, con una vita fatta di riti, tanto vale sistemarci un binario che parte da casa e un vagone sopra già pronto all’uso, no?
avvelenato82 ha detto:
Mumble, “mi sta bene l’obiezione che se non ti imponi qualcosa come rito poi è difficile farti venire la voglia e finisci per non farla più”. Questo è molto distante da quello che penso e spero anche da quello che ho scritto.
Io non voglio introdurre i riti per essere certo di fare una cosa, ma voglio assegnare ai riti la dimensione sacra che la vita di un laico altrimenti non conoscerebbe mai.
Insomma, mi pare che i riti siano il solo modo per rendere la vita un po’ più sacra, un po’ più spirituale. Non c’entra niente il discorso sulle sorprese. Voglio dire che se quando mangi la mela al venerdì pomeriggio non pensi che sia solo un mangiare una mela, ma proprio il rito del mangiare la mela di venerdì pomeriggio, allora quel momento diventa un rito, e tu diventi al tempo stesso il sacerdote e il fedele accorsi nel grande tempio della vita.
Amen.
Bongio ha detto:
Allora niente, se mi cassi pure la storia dei riti mi sa proprio che non sono d’accordo su nulla di quello che hai scritto (oppure non ho capito niente, molto più probabile!) 😛