Il bosco gorgoglia un discorso di senso compiuto: dice "è piovuto". Le piagge sono desolate, Ma solo come de-solate, prive di sole. Qualcuno direbbe che questo è "brutto tempo", ma qualcuno chi? E perché? Da quale punto di vista è brutto? In novembre il tartufaro fa festa. Quando c’è grigio il muratore (che fabbrica il grigio) non lavora. È brutto? No, perché là in fondo c’è l’azzurro fosforescente che illumina il grigio; qui in mezzo ci sono le bacche rosse del cagapui fra il marrone ostinato. Si trovano gialli giacimenti di mele selvatiche a dirci che non ci sono più gli zii e i nonni. O se ci sono, a giudicare dal vischio che adombra i peri, non hanno più motivo di fremere: i nipoti sono tutti partiti. Sono cresciuti e sono diventati zii inespressi. Eppure Natale viene ancora, quello che manca è il motivo di celebrarlo, lo stupore da rinnovare. Qui è stato il progresso a far conoscere il gusto della frutta matura. Andati via un po’ tutti, sono rimasti i reduci a scoprire che la prugna è dolce, quando è gialla o rossa. Mio padre le mangiava sempre verdi, per essere sicuro di mangiarle. Ci sono nespole dappertutto, della loro morbidezza marrone. Il letto del torrente si è spostato e il cane mi chiede se era di qui che si passava le altre volte. La diga fatta da uno scooter vecchio, che direbbe il castoro?, è crollata e l’acqua si porta via tutto, sassi e vecchi legni stanchi e gonfi, orme di volpe e speranze di lombrichi. Quel che non porta via è il piacere di un brutto tempo che mi sembra tutto tranne che brutto.
E pensare che due giorni fa, a non pensare a queste cose, mi pareva che tutto fosse poi uguale, che niente valesse qualcosa.